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Struttura produttiva della pesca in Sicilia. Luci e ombre della situazione attuale.

Analizzando i dati del “Community Fishing Fleet Register” dell’Unione Europea nel periodo 2015-2017 e i provvedimenti adottati dalla Regione Siciliana nello stesso periodo, l’osservatorio della pesca del Mediterraneo traccia un consuntivo della situazione della pesca siciliana e delle sue prospettive alla luce anche dei rapporti internazionali nel Mediterraneo.

I battelli da pesca censiti dal “Community Fishing Fleet Register” dell’Unione Europea iscritti nei 44 distretti marittimi della Regione Sicilia risultano, al 31 dicembre 2017, pari a 2.775, con una stazza lorda complessiva di 47.298 GT e una potenza dei motori di 233.472 kW.
La flotta peschereccia operante in Italia ha, alla stessa data, una consistenza di 12.270 battelli, con una stazza lorda di 157.191 GT e una potenza di 983.153 kW. Negli ultimi tre anni, quindi, la flotta peschereccia siciliana si è stabilizzata intorno alle 2.700 imbarcazioni con una stazza complessiva di circa 47.000 GT e una potenza motori di circa 233.000 kW. Questo processo di stabilizzazione pone degli interrogativi ai quali bisogna fornire delle risposte.

È compatibile questa composizione della flotta con l’attuale stato delle risorse ittiche delle aree di pesca tradizionali e con la situazione economica complessiva del settore?

Quali provvedimenti devono essere adottati dalle autorità europee, nazionali e regionali per assicurare un futuro alla pesca siciliana?
Il processo di stabilizzazione è avvenuto dopo anni di forte e costante ridimensionamento del settore.

Nel periodo 2008-2017 la consistenza della flotta peschereccia siciliana è diminuita di 450 unità. La stazza lorda GT nello stesso periodo è diminuita di 15.297 GT e la potenza dei motori di 45.668 kW. Percentualmente la consistenza numerica della flotta siciliana rispetto a quella nazionale è passata dal 23,57% al 22,62% e in potenza dal 24,29% al 23,75% dimostrando una convinta partecipazione della Sicilia al processo di ridimensionamento in misura maggiore rispetto ad altre regioni marittime del Paese. La decrescita della flotta siciliana è stata costante e in pieno accordo con quella nazionale. A partire dal 2015 si avvia il processo di stabilizzazione, come avviene a livello nazionale.

La Sicilia, quindi, ha pienamente rispettato la politica europea e nazionale di riduzione dello sforzo di pesca attuata attraverso la demolizione del naviglio. Inutile sottolineare come questo processo abbia influito sull’occupazione e sulle attività dell’indotto, in particolare sulla cantieristica, sull’industria meccanica e del freddo. Come abbiamo detto precedentemente, nel corso degli ultimi tre anni il processo di riduzione si è stabilizzato e siamo ormai in una fase che possiamo definire di mantenimento.

L’obiettivo fondamentale della politica europea della pesca basato sulla demolizione del naviglio è stato quello della riduzione dello sforzo di pesca e della ricostituzione degli stock ittici. I dati della riduzione della flotta andrebbero quindi rapportati con quelli dello stato degli stock ittici nelle aree di pesca della flotta siciliana nello stesso periodo per effettuare delle valutazioni accurate dei risultati raggiunti.

Si pone, però, un problema evidente: le aree di pesca della flotta peschereccia siciliana sono spesso in comune con le flotte dei paesi nord africani, inoltre, le flotte pescherecce tunisine, algerine, libiche, egiziane in questi anni hanno aumentato notevolmente la loro consistenza. Basterebbe ricordare che la sola flotta egiziana è cresciuta del 40% nel periodo 1997-2015, raggiungendo la consistenza numerica di quasi 5.000 natanti, dei quali oltre il 62% pesca nel Mediterraneo, spesso nelle stesse aree della pesca a strascico delle barche siciliane.

Solamente attraverso una politica comune di cooperazione e gestione delle risorse ittiche, con piani di gestione condivisi, è possibile ottenere concreti e durevoli risultati per uno sfruttamento razionale e sostenibile degli stock. È quindi necessario affrontare immediatamente una politica di cooperazione euro mediterranea all’insegna della blue economy, come da tempo suggerisce l’Osservatorio della Pesca del Mediterraneo.

Composizione della flotta: la maggior parte dei natanti ha una lunghezza fuori tutto dai 6 metri ai 10 metri (1096 barche) e sino a 6 metri (585), dimostrando una propensione del settore soprattutto per la pesca artigianale. La pesca industriale, ovvero quella effettuata da barche con lunghezza oltre i 24 metri, ha una consistenza complessiva di 128 natanti.

Un altro aspetto della flotta siciliana può essere desunto dalla composizione della flotta per sistemi di pesca, ricavata dall’esame delle licenze. Si nota una sensibile riduzione del palangaro fisso (-229) e della rete a strascico divergente (-115). In tutti i porti si nota una diminuzione del numero, con l’eccezione di Licata e Marsala.

Il maggior numero di natanti risulta costruito negli anni 1965-1990, dimostrando lo stato di vetustà della flotta peschereccia siciliana. Questa situazione richiede, per tutelare le condizioni di lavoro a bordo e garantire una maggiore sicurezza, oltreché per ridurre i consumi energetici, di avviare un serio piano di ristrutturazione e ammodernamento della flotta peschereccia siciliana.

Lo stato di vetustà della flotta peschereccia siciliana viene confermato anche dal materiale di costruzione. Il maggior numero di barche è costruito in legno (2313) mentre quelle costruite in metallo risultano pari a 117 unità. Ancora meno, a differenza di altre regioni italiane, risultano le imbarcazioni costruite in fibro-plastica. Dall’analisi dei dati della flotta peschereccia siciliana risulta evidente una linea di tendenza verso la pesca costiera, la cosiddetta piccola pesca artigianale, tendenza che è stata incentivata negli ultimi anni attraverso i Bandi PO FEAMP 2014-2020 con le varie misure di attuazione.

Fortemente penalizzata risulta, invece, la flotta dello strascico che ha ridotto le proprie potenzialità spingendo gli operatori ad utilizzare gli incentivi della demolizione per uscire fuori dalla difficile situazione economica in cui versa il settore. In questo senso è emblematica la situazione della flotta peschereccia di Mazara del Vallo che, ha subìto nel corso degli ultimi anni un sistematico ridimensionamento (tab. 13).

La flotta peschereccia mazarese ha visto ridurre la propria consistenza nel periodo 1995-2017 da 306 natanti a 206 natanti e la sua stazza lorda da 28.588 GT a 12.993 GT. La flotta dello strascico di Mazara del Vallo, che ancora nel 2011 presentava oltre 100 natanti con lunghezza maggiore di 24 metri e con una stazza media di 160 GT operanti nel Canale di Sicilia ai limiti delle acque nord africane, in Grecia a Creta e in Egitto, vede ora ridotta la sua consistenza a meno di 85 barche.

Unica prospettiva per assicurare un futuro a questa importante attività economica, che, lo ricordiamo, ha come target i crostacei, il gambero bianco, il gambero rosso e il viola e gli scampi, è l’avvio di un serio programma di cooperazione con i paesi nord africani per l’adozione di piani di gestione degli stock che prevedano un prelievo razionale e sostenibile delle risorse, nonché adeguate aree di ripopolamento e protezione. Il raggiungimento degli obiettivi del piano dipenderà anche dalle decisioni gestionali intraprese dagli altri paesi coinvolti nello sfruttamento delle risorse condivise e dall’adozione del Piano di Gestione del GFCM come previsto dalla raccomandazione REC.CM-GFCM/40/2016/4.

Tra il 2004 ed il 2015 la pesca a strascico dell’area (gambero rosso, moscardino muschiato, triglie, seppie e pagelli) evidenzia un chiaro trend negativo dello sbarcato con la sola eccezione dei gamberi rossi, la cui produzione tra il 2004 ed il 2015 è aumentata del 78%.
I ricavi totali si sono ridotti del 10% nel corso dei dodici anni, passando da circa 159 milioni di euro nel 2004 a 142 milioni nel 2015.
I ricavi dello strascico, in particolare, sono diminuiti del 13%, pur mostrando una leggera ripresa nell’ultimo anno.
Il maggior costo della flotta a strascico operante nella GSA 16 è relativo al carburante che ha l’incidenza del 40% sui costi totali.
I battelli dello strascico e dei polivalenti passivi hanno contribuito nel 2015 rispettivamente al 71% e al 14% del profitto lordo dell’area.

Tra il 2004 ed il 2015, la flotta a strascico ha perso oltre 700 occupati, con una riduzione del 30% rispetto al 2004. Stabile il numero di occupati nel segmento dei polivalenti passivi. Dal punto di vista della commercializzazione del prodotto, in gran parte delle marinerie dell’area, la vendita del prodotto si basa sull’acquisto operato da grossisti anziché sulla vendita all’asta, nonostante i grossi volumi di produzione e la forte concentrazione di battelli che caratterizza molte delle marinerie.

Questo condiziona negativamente i prezzi di vendita, che in moti casi sono al di sotto della media nazionale, e comporta una maggiore dilazione nei pagamenti, rispetto alla vendita tramite mercato ittico. Inoltre risulta carente la dotazione di infrastrutture a supporto della commercializzazione, quali celle frigo e piattaforme logistiche.

Molte imbarcazioni di strascico di medie dimensioni, dedite principalmente alla pesca del gambero rosa entro le 20 miglia dalla costa, non sono provviste delle infrastrutture di bordo per il congelamento del prodotto. Questo produce un aumento dei costi poiché sono costrette a sbarcare giornalmente o ogni due giorni gambero di piccola taglia venduto a fresco, con una riduzione dei ricavi medi rispetto al prodotto di maggiore taglia pescato più al largo e congelato a bordo.

Allo stato attuale le imbarcazioni di medie dimensioni risultano troppo ‘piccole’ per congelare a bordo e troppo ‘grandi’ per praticare in maniera sostenibile la pesca costiera. Nelle principali aree di pesca al di fuori delle acque territoriali risulta in crescita la presenza di battelli extraeuropei spesso in conflitto con le imbarcazioni a strascico che praticano la pesca alturiera. Secondo gli operatori quindi la riduzione dello sforzo esercitata nell’ultimo decennio dai battelli italiani è stata, pertanto, abbondantemente compensata dall’aumento di sforzo da parte dei battelli extracomunitari.

Negli ultimi anni, inoltre, ai battelli tunisini si sono aggiunti quelli egiziani di stazza sempre maggiore e sempre meglio equipaggiati anche per la pesca a congelato dei crostacei.

La flotta a strascico egiziana è quella con il più alto potenziale di crescita e i crostacei pescati da tali battelli vengono in larga parte esportati sul mercato italiano. Si segnala infine la crescente mancanza di manodopera specializzata, soprattutto comandanti e motoristi, in particolare nella marineria di Mazara.

Un primo momento di riflessione internazionale sulla necessità di adottare un PdG condiviso tra i paesi dell’area per la pesca del gambero rosa e del merluzzo si è avuto nel “Subregional Technical Workshop on Fisheries Multiannual Management Plans for the Western, Central and Eastern Mediterranean”, svoltosi a Tunisi nell’ottobre 2013.

Il workshop aveva tre obiettivi:
i) valutare la fattibilità tecnica delle linee guida GFCM per lo sviluppo di piani di gestione pluriennali,
ii) identificare le problematiche e le esigenze di gestione e
iii) progredire verso la preparazione di documenti e strategie a supporto dei piani di gestione.

Importanti progressi nella stesura del piano si sono registrati in seguito all’incontro tenuto presso la sede della FAO.

In particolare sono state identificate le misure gestionali, finalizzate a valutare l’impatto dal punto di vista biologico, ecologico e socioeconomico e a far rientrare gli stock di gambero rosa e merluzzo entro condizioni di maggiore sostenibilità di sfruttamento.

L’acquacoltura è considerata uno dei settori produttivi strategici dell’Unione Europea, per il quale, nella programmazione avviata sono previsti notevoli investimenti, che l’acquacoltura siciliana dovrà utilizzare per il proprio sviluppo nel contesto mediterraneo.

Già nell’ambito del Fondo Europeo per la Pesca (FEP) 2007/2013, sono stati finanziati interventi a sostegno del settore.

Questo sviluppo è, quindi, perseguito anche nel Programma Operativo del Fondo Europeo per gli Affari Marittimi e la Pesca (PO FEAMP 2014-2020), che promuove la sostenibilità ambientale del settore che considera l’acquacoltura tra le componenti che contribuiscono all’equilibrio dell’ambiente naturale.

Nell’ambito del FEAMP, sono state individuate, misure idonee a promuovere ed incentivare l’innovazione e lo sviluppo dell’acquacoltura siciliana sia marina che in acque interne.

In questo ambito viene incoraggiata la collaborazione delle imprese di allevamento con Enti Scientifici e strutture di Ricerca, che hanno il ruolo di sviluppare conoscenze e tecniche volte a ridurre l’impatto ambientale degli allevamenti, aumentare la competitività, la diversificazione della produzione e l’allevamento di specie di riferimento territoriale non alloctone e favorire interventi che aumentino l’efficienza energetica.

Acquacoltura in Sicilia

Fino al 2010 il settore dell’acquacoltura in Sicilia garantiva oltre il 15% della produzione nazionale; successivamente ha subito un repentino tracollo, passando da 18 aziende censite nel 2008, a 5 aziende che contribuiscono a poco meno del 10% della produzione nazionale.

Gli ultimi dati indicano la presenza di 13 impianti attivi nel territorio regionale, che occupano circa 100 addetti.

Le specie allevate sono l’Orata, la Spigola, e l’Ombrina, tra quelle marine, e la Trota, il Persico spigola, la Carpa e il Persico trota tra quelle di acqua dolce, mentre l’allevamento di molluschi riguarda soltanto i mitili.

La produzione regionale complessiva è di circa 4.200 tonnellate, per un valore commerciale superiore a 13 milioni di euro.

Le avannotterie operanti in Sicilia, in considerazione dell’elevato livello tecnologico raggiunto, nel tempo hanno incrementato la loro produzione di avannotti, fino a circa 35 milioni di esemplari, che rappresentano circa il 35% della produzione nazionale.

L’acquacoltura estensiva nel Trapanese produce circa 1 tonnellata di spigole e orate l’anno che rappresenta un prodotto di qualità elevata reperibile esclusivamente sul mercato locale, a prezzi molto elevati. La molluschicoltura in Sicilia è rappresentata esclusivamente da due impianti operanti nella Provincia di Siracusa e due impianti nella Provincia di Messina, dediti alla stabulazione di mitili, quindi non propriamente all’allevamento.

Attualmente risultano attive sei aziende di acquacoltura in acque interne che riescono a soddisfare parzialmente le richieste di mercato ed a produrre pesce competitivo dal punto di vista qualitativo, in bacini naturali, artificiali e con sistemi a ricircolo RAS (Recirculated Aquaculture System).

La pesca artigianale nei diversi paesi del Mediterraneo è caratterizzata da un elevato numero di imbarcazioni e addetti, da basse catture e da un altro valore unitario nella vendita dei prodotti.

Nelle ultime decadi le comunità dei pescatori nel Mediterraneo, hanno subito il rapido avvento della modernizzazione sia tecnologica che socio-culturale che ha contribuito al progressivo incremento della pressione da pesca su poche specie, il conseguente sovra-sfruttamento di molti stock ittici e l’uso sbilanciato della biodiversità.

In questo contesto si sostiene che lo sviluppo della pesca nel Mediterraneo debba essere orientato non verso un aumento dello sforzo da pesca ma, verso attività di pesca sostenibile, qual è potenzialmente la pesca artigianale.

Molto si dovrà ancora fare, in particolare riguardo il sistema di governance. Tuttavia, è bene ribadire che la mancanza di dati qualitativi e quantitativi sulla pesca artigianale riduce fortemente la possibilità di individuare misure di gestione per rendere sostenibile la pesca locale a lungo termine.

L’obiettivo comune di garantire la vitalità dei mari e degli oceani affinché siano puliti, sani e produttivi per gli usi e le attività delle generazioni presenti e future, deve essere necessariamente associato ad un profondo cambiamento etico-culturale.

Fonte: Osservatorio della Pesca del Mediterraneo

La SICILIA punta sull’acquacoltura

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L’acquacoltura, cioè la produzione di pesci, molluschi e crostacei in ambienti controllati dall’uomo, è un settore in fortissima ascesa soprattutto nel bacino del Mediterraneo. “Grazie ai Fondi Europei viene incentivata l’Acquacoltura 2.0 caratterizzata da risparmio energetico, sostenibilità ambientale e sicurezza alimentare – dice Dario Cartabellotta, Dirigente generale del Dipartimento Regionale della Pesca dell’assessorato regionale siciliano dell’agricoltura – Le proteine del pesce hanno elevatissimo valore biologico e minore impatto ambientale rispetto agli altri sistemi di allevamento. Il prodotto di acquacoltura mette insieme queste caratteristiche e offre garanzie di qualità e gusto ai consumatori. Ad oggi l’import italiano del prodotto di acquacoltura proveniente dal bacino mediterraneo (turchia, grecia, etc) è di 4 miliardi di euro. Le potenzialità della Sicilia sono elevatissime sia per la maricoltura che per l’acquacoltura rurale delle aree interne, dove gli imprenditori agricoli diventano anche allevatori di pesce. Non resta che sfruttarle in pieno”.

Ad oggi in Sicilia ci sono 5 aziende di acquacoltura in acque marine (Acqua Azzurra di Pachino; Acquacoltura Lampedusa; Ittica San Giorgio di Licata; Gruppo del pesce di Trapani; Sicilittica di Licata) e 6 aziende di acquacoltura in acque interne (Agroittica Macrostigma di Rosolini; La Trota di Palazzolo Acreide; Contino di Caronia; Sirio Impianti di Sinagra; Salvo di Fiumefreddo di Sicilia; Porrazzito di Acate). La molluschicoltura siciliana è rappresentata da due impianti operanti nella Provincia di Siracusa e due impianti nella Provincia di Messina, dediti quasi esclusivamente alla stabulazione di mitili, quindi non propriamente ascrivibili tra gli impianti di allevamento.