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PESCA ELETTRICA: Un nuovo scandalo ecologico

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L’unione Europea Vota e apre le porte alla pesca elettrica. Per Bloom si tratta di un disastro ambientale. Con 23 voti pro e soltanto 3 contrari la Commissione Pesca del Parlamento Europeo ha aperto le porte alla pesca elettrica. Un sistema cruento che folgora letterale i pesci dopo averli attirati. Tale tecnica di pesca in Europa era stata vietata nel 1998, come anche negli USA, in Brasile ed in Cina. Nel 2007 era stata autorizzata a scopo sperimentale nel mare del nord per la pesca dei pesci piatti limitandola comunque al 5% dei pescherecci Olandesi. E, sono stati proprio gli olandesi a spingere per dare voto favorevole. Sembra che le lobby Olandesi della pesca industriale abbiano un interesse particolare a veder approvata tale tecnica di pesca. Ma i pescatori francesi non ci stanno e denunciano la desertificazione degli oceani provocato dalla pesca elettrica e ricordano l’impegno di «mettere fine, entro il 2020, alle pratiche di pesca distruttive» preso dall’Unione Europea. Per Bloom, associazione ambientalista Francese, tale tecnica di pesca e’ molto efficace ma può’ trasformare gli oceano in un deserto in poco tempo. A dichiararlo il Presidente di Bloom Frédéric Le Manach. Ad oggi non ci sono delle vere ricerche sull’impatto che può avere la pesca elettrica anche se, secondo Bloom, sono tante le testimonianze che dimostrano come il pescato mostri spesso bruciature, ecchimosi e deformazione dello scheletro successive alla folgorazione. Ségolène Royal, ex Ministro dell’ecologia Francese, si era già espresso in passato chiedendo all’Europa di mettere questa tecnica definitivamente al bando proprio perché’ considerata una reale minaccia per pesci e pescatori.

Secondo l’UE si tratta di un attrezzo Innovativo e se nei prossimi 4 anni la scienza non proverà aspetti negativi, la pesca elettrica potrà essere praticata senza limiti in tutta Europa. Secondo Bloom, questo risultato disastroso potrebbe essere ribaltato in discussione entro il voto in plenaria. «La pesca elettrica è una tecnica dannosa che è stata bandita per decenni, come anche la pesca con esplosivi e l’utilizzo di veleni.

Una tecnica in cui la pesca viene eseguita con l’ausilio di corrente elettrica può essere definita eco-friendly o sostenibile. Pesci come il merluzzo o le platesse possono anche essere spezzati in due dalle scosse. Non è neppure chiaro come rispondano a queste scariche animali come squali e razze che utilizzano i campi elettrici per cacciare e difendersi. Pescare l’ultimo pesce del mare mettendo in pericolo gli animali che ci vivono, non è un modo per salvare gli oceani. In questo momento, la pesca elettrica sostenibile è soltanto una chimera».

La SICILIA punta sull’acquacoltura

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L’acquacoltura, cioè la produzione di pesci, molluschi e crostacei in ambienti controllati dall’uomo, è un settore in fortissima ascesa soprattutto nel bacino del Mediterraneo. “Grazie ai Fondi Europei viene incentivata l’Acquacoltura 2.0 caratterizzata da risparmio energetico, sostenibilità ambientale e sicurezza alimentare – dice Dario Cartabellotta, Dirigente generale del Dipartimento Regionale della Pesca dell’assessorato regionale siciliano dell’agricoltura – Le proteine del pesce hanno elevatissimo valore biologico e minore impatto ambientale rispetto agli altri sistemi di allevamento. Il prodotto di acquacoltura mette insieme queste caratteristiche e offre garanzie di qualità e gusto ai consumatori. Ad oggi l’import italiano del prodotto di acquacoltura proveniente dal bacino mediterraneo (turchia, grecia, etc) è di 4 miliardi di euro. Le potenzialità della Sicilia sono elevatissime sia per la maricoltura che per l’acquacoltura rurale delle aree interne, dove gli imprenditori agricoli diventano anche allevatori di pesce. Non resta che sfruttarle in pieno”.

Ad oggi in Sicilia ci sono 5 aziende di acquacoltura in acque marine (Acqua Azzurra di Pachino; Acquacoltura Lampedusa; Ittica San Giorgio di Licata; Gruppo del pesce di Trapani; Sicilittica di Licata) e 6 aziende di acquacoltura in acque interne (Agroittica Macrostigma di Rosolini; La Trota di Palazzolo Acreide; Contino di Caronia; Sirio Impianti di Sinagra; Salvo di Fiumefreddo di Sicilia; Porrazzito di Acate). La molluschicoltura siciliana è rappresentata da due impianti operanti nella Provincia di Siracusa e due impianti nella Provincia di Messina, dediti quasi esclusivamente alla stabulazione di mitili, quindi non propriamente ascrivibili tra gli impianti di allevamento.

A Napoli la prima industria europea del mare

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I mari e gli oceani sono tra le aree più inesplorate del nostro sapere e la conoscenza delle forme di vita che li popolano potrebbe favorire importanti sviluppi in numerosi settori, dall’industria alimentare fino alla lotta al cancro. In quest’ottica sta nascendo presso la Stazione Zoologica Anton Dohrn di Napoli il primo dipartimento europeo di Biotecnologia Marina, finanziato con il contributo del Ministero dell’istruzione, dell’Università e della Ricerca-MIUR. Al suo interno lavoreranno ricercatori di tutto il mondo, con l’intento di svelare i segreti del mare a diretto vantaggio delle imprese. A illustrarci le potenzialità di questo terreno di studio è Roberto Danovaro, Presidente della Stazione Zoologica Anton Dohrn.

Professore, oltre a favorire avanzamenti delle conoscenze di base, le ricerche in biologia marina aprono scenari inaspettati di innovazione e sviluppo. Perché è così importante lo studio del mare?

Il mare costituisce la più grande risorsa di proteine del pianeta e suoi organismi animali e vegetali rappresentano una fonte alimentare importante e sostenibile per una popolazione mondiale in costante crescita. Il mare, inoltre, sequestra l’anidride carbonica dall’atmosfera e produce quasi la metà dell’ossigeno che respiriamo, svolgendo un servizio importante per il nostro ambiente e per la qualità della vita. Infine dobbiamo pensare che l’uomo vive sulla Terra da qualche centinaio di milioni di anni, mentre la vita in mare inizia circa un miliardo e mezzo di anni prima. In questo lasso di tempo, gli organismi marini hanno sviluppato una diversificazione di funzioni che rendono l’ambiente marino una miniera preziosa di molecole e materiali ancora da scoprire, che possono fortemente contribuire allo sviluppo e all’innovazione in ogni settore.

Può fornirci un esempio di molecole o materiali marini di utilità per l’uomo?

Ad oggi, circa 7.000 molecole estratte dal mare trovano applicazione o sono in fase di validazione per diversi utilizzi, che vanno dal campo medico a quello industriale. Parliamo ad esempio di molecole capaci di contrastare la proliferazione cellulare e quindi i tumori, come avviene con un importante composto tumorale oggi utilizzato in chemioterapia ed estratto da una spugna marina, fino a molecole utilizzate contro il dolore e prive di effetti collaterali, ricavate dal veleno di particolari chioccioline marine. Ci sono anche sostanze dall’importante valore nutraceutico, come i famosi omega-3 che sono prodotti principalmente da organismi simili a microalghe, fino a sostanze utili per l’industria cosmetica, adoperate per realizzare creme biologiche idratanti, protettive o contro la cellulite. Ma il mare fornisce anche idee innovative per la realizzazione di nuovi materiali, che possono trarre ispirazione dalle soluzioni biologiche e micro-architettoniche adottate da organismi marini nell’arco di milioni di anni.

Con questo intento, presso la Stazione Zoologica Anton Dohrn di Napoli sorgerà presto un nuovo dipartimento europeo di biotecnologia marina. Che impatto avrà questo centro di ricerca sul Paese?

Si tratta del primo dipartimento di Biotecnologia Marina a livello europeo e servirà a colmare il gap culturale che vede oggi l’Italia al 17esimo posto al mondo per numero di brevetti marini, alle spalle di stati molto meno lambiti dal mare. Il nuovo centro, approvato dal Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, rilancerà l’Italia come punto di riferimento internazionale nel settore delle ricerche biotecnologiche marine ecocompatibili ed ecosostenibili, attraverso le quali non si alterano i processi naturali, ma si studiano i segreti del mare per produrre molecole e composti ad alto valore aggiunto, utili all’industria e al commercio. Il nuovo centro sorgerà in una sede ancora da destinarsi a Napoli, la città che ospita le migliori competenze biologiche a livello nazionale e già sede del nuovo cluster tecnologico “Blue Growth” dedicato all’economia del mare, valorizzando anche una delle aree del paese a maggior potenzialità di “crescita blu”.

In che modo avverrà lo scambio di conoscenze con il settore industriale?

Innanzitutto la nuova struttura di ricerca ospiterà scienziati provenienti da ogni parte del mondo ed è già stato avviato il reclutamento di 50 ricercatori su scala internazionale, che contribuirà anche al rientro di molti cervelli italiani attualmente impiegati all’estero. Inoltre saranno creati spazi in cui i ricercatori collaboreranno con piccole, medie e grandi imprese per portare i prodotti della ricerca a diretto contatto con il mercato. Si creeranno così nuove opportunità di sviluppo e di occupazione. Le imprese interessate a questo settore di ricerca sono moltissime, a partire dal settore alimentare fino a quello farmaceutico e della produzione di materiali.

Bilancio Ue FONDO Europeo 2021-2027

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Il nuovo Fondo europeo per gli affari marittimi e la pesca continuerà ad assistere il settore alieutico europeo nella transizione verso pratiche di pesca più sostenibili, puntando in particolare sul sostegno agli operatori della piccola pesca. Consentirà inoltre di liberare il potenziale di crescita di un’economia blu sostenibile che assicuri un futuro più prospero alle comunità costiere. Per la prima volta, il Fondo contribuirà a rafforzare la governance internazionale degli oceani per garantire mari e oceani più sicuri, protetti, puliti e gestiti in modo sostenibile. Infine, la Commissione intende potenziare l’impatto ambientale del Fondo grazie a un’azione rafforzata per la tutela degli ecosistemi marini e a un contributo previsto del 30% del relativo bilancio a

favore della mitigazione e dell’adattamento ai cambiamenti climatici, in linea con gli impegni assunti nell’ambito dell’accordo di Parigi. Karmenu Vella, Commissario per l’Ambiente, gli affari marittimi e la pesca, ha dichiarato: “Oceani sani e ben gestiti costituiscono una premessa indispensabile per investimenti a lungo termine e per la creazione di posti di lavoro nel settore della pesca e, più in generale, dell’economia blu. In qualità di attore globale degli oceani e quinto produttore mondiale di prodotti ittici, l’Unione ha una grande responsabilità per la protezione, la conservazione e l’uso sostenibile degli oceani e delle risorse che ne deri-

vano. Il Fondo consentirà agli Stati membri e alla Commissione di far fronte a tale responsabilità con investimenti che promuovano attività di

pesca sostenibili, la sicurezza alimentare, un’economia marittima fiorente e mari e oceani sani e produttivi.”

La pesca svolge un ruolo essenziale nel garantire la sussistenza e preservare il patrimonio culturale di numerose comunità costiere nell’Unione europea. Insieme all’acquacoltura, contribuisce inoltre alla sicurezza alimentare e alla nutrizione. Il sostegno del Fondo si concentrerà principalmente sui piccoli pescatori costieri operanti con imbarcazioni di lunghezza inferiore a 12 metri, che rappresentano la metà dell’occupazione nel settore alieutico. Molto è stato fatto, dalla riforma della politica comune della pesca nel 2014, per ricondurre gli stock ittici a livelli sostenibili, aumentare la redditività dell’industria alieutica dell’Unione e garantire la conservazione degli ecosistemi marini. Il nuovo Fondo continuerà a

sostenere questi obiettivi socioeconomici e ambientali. Per quanto riguarda l’economia marittima, la Commissione propone di intensificare il proprio sostegno rispetto al periodo 2014-2020. Si tratta

infatti di un settore economico ad alto potenziale, la cui produzione globale è attualmente stimata attorno a 1 300 miliardi di euro, cifra che potrebbe più che raddoppiare entro il 2030. Il Fondo consentirà di investire in nuovi mercati, tecnologie e servizi marittimi come l’energia oceanica e la biotecnologia marina. Alle comunità costiere sarà offerto un sostegno maggiore e più ampio per la creazione di partenariati locali e i trasferimenti di tecnologia in tutti i settori dell’economia blu, compresi l’acquacoltura e il turismo costiero.

Nel contesto dell’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite, l’Unione si è inoltre impegnata a livello internazionale a rendere gli oceani e i mari più sicuri, protetti, puliti e gestiti in modo sostenibile. Il nuovo Fondo europeo per gli affari marittimi e la pesca contribuirà al rispetto di

questi impegni a favore di una migliore governance internazionale degli oceani. Fornirà inoltre i finanziamenti necessari per migliorare la sorveglianza marittima, la sicurezza e la cooperazione dei servizi di guardia costiera.

Per migliorare l’efficienza e l’efficacia del Fondo sono state introdotte diverse novità: Maggiore semplificazione e una più ampia scelta per gli Stati membri, che potranno ora dirigere in modo mirato i finanziamenti a sostegno delle loro priorità strategiche anziché dover scegliere da un “menu preconfezionato” di azioni ammissibili. Migliore allineamento con altri Fondi dell’Unione europea. Le norme applicabili a tutti i Fondi strutturali e di investimento sono stabilite da un regolamento recante disposizioni comuni.

Un sostegno più mirato al conseguimento degli obiettivi della politica comune della pesca.

Un rapido accordo sul bilancio generale a lungo termine dell’Unione europea e sulle sue proposte settoriali è essenziale al fine di assicurare che i Fondi dell’Ue comincino a produrre risultati concreti al più presto possibile

Giornata mondiale dell’ambiente LOTTA alla PLASTICA negli OCEANI

Il 5 giugno si è celebrato l’evento istituito dalle Nazioni Unite, che quest’anno ha come tema la tutela degli oceani e degli habitat marini dalla minaccia dei rifiuti plastici. Ogni anno a partire dal 1974, il 5 giugno si celebra la Giornata mondiale dell’ambiente. Istituito dalle Nazioni Unite, l’evento intende sensibilizzare le persone all’azione a livello globale per la tutela del patrimonio naturale.

La nascita della Giornata

La Giornata mondiale dell’ambiente ha origine il 15 dicembre del 1972 quando una risoluzione dell’Assemblea Generale dell’Onu designa il 5 giugno come il giorno adibito alle celebrazioni dell’evento in tutto il mondo. Lo scopo è quello di intraprendere ogni anno attività su scala globale per la conservazione e la valorizzazione dell’ambiente. La data scelta dalle Nazioni Unite coincide con il primo giorno della Conferenza sull’ambiente umano tenutasi dal 5 al 16 giugno del 1972 a Stoccolma. La prima edizione risale al 1974 e, da allora, la Giornata è diventata un volano per intervenire sui problemi ambientali più urgenti a livello mondiale. Sono milioni le persone che hanno contribuito nel corso degli anni a guidare il cambiamento nelle abitudini di consumo e nelle politiche ambientali nazionali e internazionali.

Lotta all’inquinamento da plastica

Lo slogan scelto per l’edizione 2018 della Giornata mondiale dell’ambiente è
“Beat plastic pollution. If you can’t reuse it, refuse it”, ovvero “Sconfiggi l’inquinamento da plastica. Se non puoi riusarlo, rifiutalo”. L’obiettivo è quello di stimolare proposte alternative alla plastica monouso, in particolare, attraverso lo sviluppo di nuovi materiali più sostenibili per l’ambiente. Secondo l’Unep, il programma per l’ambiente delle Nazioni Unite, infatti, ogni anno verrebbero riversati negli oceani otto milioni di rifiuti plastici: 13 milioni di tonnellate complessive di plastica. Per questo, si è reso necessario dichiarare guerra agli oggetti usa-e-getta. Mari e oceani vengono messi a dura prova: basti pensare che, secondo i dati messi a disposizione dell’Onu, ogni minuto nel mondo vengono acquistate un milione di bottigliette di plastica e solo una piccolissima parte di queste viene poi riciclata.

India paese ospitante

Il centro congressi di Vigyan Bhavan a Delhi in India, in occasione della Giornata mondiale dell’ambiente, ha ospitato una mostra di cinque giorni, con una serie di incontri e dibattiti sul tema della plastica, delle sue numerose applicazioni in settori come l’edilizia, la medicina e l’industria alimentare e sul problema del monouso e delle alternative sostenibili. “Il problema sta nel modo in cui consumiamo e smaltiamo la plastica”, ha affermato Shri Raghavendra Rao, del ministero indiano delle sostanze chimiche e dei fertilizzanti. “In India oggi, il 45% delle materie plastiche prodotte è monouso. Questo è un grosso problema”. Tra le alternative possibili alla plastica, ci sarebbe l’acciaio inossidabile. “Le merci in acciaio – ha detto Aruna Sharma del Ministero indiano dell’acciaio – durano almeno 100 anni e possono essere parte di una soluzione più olistica se il modo in cui vengono prodotte è anche a spreco zero”. Allo stesso tempo, però, secondo Ashok Khosla, fondatore di un’impresa sociale incentrata sullo sviluppo sostenibile, “non si possono vietare categoricamente le materie plastiche perché sono così importanti nelle nostre vite”.

I numeri dell’inquinamento da plastica in Italia

Il problema dell’inquinamento da plastica in mare tocca da vicino anche l’Italia. Le recenti indagini condotte da Legambiente attraverso il rapporto “Goletta Verde” hanno fatto emergere che di plastica è il 96% dei rifiuti galleggianti nei nostri mari. Una densità pari a 58 rifiuti per ogni chilometro quadrato di mare con punte di 62 nel mar Tirreno. Tra i rifiuti più comuni sono state individuate buste (16,2%), teli (9,6%), reti e lenze (3,6%), frammenti di polistirolo (3,1%), bottiglie (2,5%). E una stima che riguarda tutto il mar Mediterraneo parla di “almeno 250 miliardi di frammenti di plastica”. L’inquinamento da plastica colpisce anche le spiagge italiane. Secondo l’indagine Beach Litter 2018 dell’Organizzazione ambientalista, su 78 spiagge monitorate, per un totale di oltre 400 mila metri quadri sono stati trovati una media di 620 rifiuti ogni 100 metri lineari di spiaggia. E tra i materiali più trovati c’è proprio la plastica, con una percentuale dell’80% sul totale.

QUOTE TONNO ROSSO

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Come ogni anno, si ripropone la problematica sulla ripartizione delle quote tonno, spettanti all’Italia, che per il 2018 ammontano a 3.894 tonnellate, ripartite tra un numero massimo di: 12 imbarcazioni da autorizzare per la pesca con il sistema “circuizione (PS)”, 30 imbarcazioni da autorizzare per la pesca con il sistema “palangaro (LL)” e, 6 impianti da autorizzare per la pesca con il sistema “tonnara fissa (TRAP)”.

D’altronde, l’art. 16 del Testo unico ribadisce che “ogni eventuale incremento annuo del contingente di cattura di tonno rosso assegnato all’Italia, è ripartito, per una quota complessiva pari a non meno del 30% esclusivamente fra i sistemi di pesca del tipo palangaro, circuizione e tonnara fissa e fino ad un massimo del 70%, alla pesca accessoria o accidentale”.

Nell’arco temporale 2018/2020 si aumenteranno le quote di tonno rosso, una risorsa fondamentale per la pesca italiana che avrà un reale impatto sull’economia di molte marinerie del sud.

Il tonno rosso ha un valore commerciale elevatissimo, e anche pochi esemplari rappresentano, per una famiglia di pescatori, una possibilità di reddito e occupazione, consentendo di coniugare sostenibilità economica, ambientale e sociale, principio cardine della nuova Politica Comune della Pesca.

Redistribuire in maniera equa le quote tonno, e non riservare a pochissime barche -come avvenuto fino ad ora- ma fra i diversi sistemi di pesca con particolare considerazione alle imprese di pesca artigianale e alle tonnare fisse, aiuta a superare una situazione di quasi monopolio che vede oggi circa 15 imprese di pesca gestire quasi il 75% della quota tonno rosso nazionale, determinando un ampio divario tra il sistema della circuizione e quello del palangaro.

Il MIPAAF, con proprio decreto, dovrà ripartire la nuova quota di circa 600 tonnellate tra i diversi sistemi di pesca utilizzati in Italia.

Il Dipartimento Pesca della Regione Siciliana, prendendo atto degli esiti positivi del piano pluriennale di ricostituzione degli stock di tonno nell’Atlantico e nel Mediterraneo, e della decisione dell’ICCAT di rideterminare la quota pescabile di tonno rosso, ha avanzato al Ministero la richiesta di ripartizione della quota tonno rosso 2018, che ammonta a 3.894 tonnellate chiedendo di destinare circa un terzo della quota, circa 150-200 tonnellate al sistema del palangaro; circa 80 tonnellate da assegnare alla Tonnara Fissa di Favignana per il suo valore ambientale, antropologico e sociale; mentre il restante il 50% (circa 300 tonnellate) alla cattura accidentale di tonno rosso effettuata da tutte le imbarcazioni da pesca già autorizzate alla cattura del pesce spada, in tal modo l’aumento delle quote rappresenterà un’opportunità per molti pescherecci italiani evitando il dramma delle catture accidentali che comportano problemi non indifferenti per i divieti incrociati di cattura, rigetto e sbarco.

Negli anni trascorsi è stato applicato un discutibile principio giuridico di diritti delle imprese sul tonno rosso, in base al quale, un bene patrimonio della collettività internazionale sia stato considerato proprietà privata.

Se i parametri di ripartizione del 2018 – così come preannunciato- saranno gli stessi di quelli sanciti nel triennio 2015/2017, questo non renderà giustizia alle aspettative dei tanti palangrieri.

Il nostro sottosegretario si deve assumere tutte le responsabilità per un eventuale declino del settore, già pesantemente penalizzato.

Non è più il momento di illudere nessuno.

TONNO: SEMAFORO ROSSO

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Inizialmente l’additivazione era prevalentemente attribuita all’utilizzo illecito del monossido di carbonio, successivamente l’attenzione è stata rivolta ai nitriti e nitrati. Le additivazioni non consentite e non dichiarate non solo sono illegali ma rappresentano una criticità che turba fortemente il mercato dei produttori di tranci sia di tonno a pinne gialle che di tonno rosso naturale.

Il consumatore, da anni abituato a questo tipo di prodotto “modificato”, non è praticamente più in grado di distinguere tra quello trattato e quello naturale e preferisce spesso il trattato perchè apparentemente più bello a livello estetico per il tipo di colorazione.

Bisognerebbe emanare disposizioni operative, quale ad esempio piano di monitoraggio e verificare da parte degli organi preposti il controllo ufficiale al fine di regolamentare il settore e la messa a punto di metodiche di laboratorio e standard per la ricerca e la determinazione dei nitrati e nitriti nelle carni ittiche, in particolare nel tonno rosso. Alcuni produttori inseriscono nell’etichetta la dicitura di “succo di rapa rossa” (che non è l’additivo “rosso” di barbabietola che è lecito utilizzare solo nella pasta di pesce e crostacei). Questi ingredienti in realtà sono utilizzati, a parere di alcuni esperti, per nascondere soprattutto l’aggiunta di nitriti e nitrati. Il problema è che da anni vengono tollerate queste informazioni.  Se per quanto riguarda i prodotti additivati con monossido non c’è rischio sanitario diretto per il consumatore e non è neppure stata dimostrata una relazione diretta tra additivazione con monossido e presenza o sviluppo di istamina, per quanto riguarda i prodotti trattati con nitriti e nitrati invece la situazione è diversa. Il nitrato di sodio (E251) e il nitrato di potassio (E252), sostanze ben note e largamente utilizzate nel settore dei prodotti a base di carne, particolarmente nei salumi, vengono impiegati anche negli alimenti a base di prodotti ittici limitatamente alle aringhe e agli spratti marinati. E’ dimostrata la tossicità, per la formazione di sostanze cancerogene. Il prezzo molto basso e la lunga durata del prodotto hanno però ad oggi avuto la meglio a discapito della trasparenza, della sicurezza igienico-sanitaria e della qualità intrinseca del prodotto.

GARANTIRE IL FUTURO “Tanto delle risorse quanto dei pescatori”

La pesca più di ogni altro settore della produzione alimentare, è caratterizzata dall’incertezza delle condizioni di produzione. I pescatori non sono mai certi di ciò che cattureranno; e che ciò che sbarcheranno andrà bene agli acquirenti. L’origine del problema è un dato di fondo e cioè, che nel settore non esiste un regime di proprietà privata delle zone di riproduzione. Questa è la principale causa che fa registrare la naturale tendenza allo sfruttamento irrazionale delle risorse, secondo la convinzione errata che le risorse essendo di tutti e di nessuno, sono aggredibili liberamente. E questo concetto diffuso, è la prima barriera da far superare agli stessi operatori.

“Lontano dagli occhi, lontano dal cuore” in queste parole si riassume l’atteggiamento che abbiamo avuto da secoli nei confronti del mare.

Dobbiamo fare un salto di qualità e cambiare la nostra visione delle cose, non ripetendo gli errori del passato, formare una mentalità più responsabile, un approccio diverso nella gestione del territorio marino, in sostanza formare la cultura del rispetto delle risorse.

Per gestire la pesca nel Mediterraneo, l’ottica nazionale non basta più, la cooperazione con i Paesi transfrontalieri, rappresenta un presupposto indispensabile.
Molte delle sfide dei mari europei sono globali.
Negli ultimi anni, il tonno rosso è passato da uno sfruttamento eccessivo ad un recupero progressivo le cui quote sono aumentate del 20% ogni anno, grazie ad un enorme sforzo internazionale guidato dall’Ue.

Questo sta a dimostrare che le giuste misure adottate da tutti i Paesi transfrontalieri e, affiancate da un forte impegno del settore possono, contribuire a ricostruire la risorsa e garantirla alle future generazioni. Il miglioramento degli stock di tonno rosso è una storia di successo economico e ambientale. L’uso sostenibile dei nostri mari è essenziale. Vitale. Non è più possibile: business e welfare devono andare di pari passo.

Negli anni trascorsi – in Italia, per il settore tonniero – è stato applicato un discutibile principio di ripartizione delle quote. Il nocciolo del problema -che si sta dibattendo in questi giorni- sono le 600 tonnellate di quota che il ministero deve ripartire tra i vari sistemi di pesca. Dai territori siciliani si alza un coro di contestazione.  Invocano che sia applicato “il principio di sostenibilità economica”, punto cardine dell’Ue.

In sostanza destinare una percentuale consistente dell’aumento di quota tonno alle catture accidentali a favore dei palangrieri e alle imbarcazioni da pesca già autorizzate alla cattura del pesce spada che, per forza di cose, finiscono per catturare accidentalmente il tonno rosso. Una ripartizione equa serve a riequilibrare il mercato e ad evitare raggiri e attività illecite cui sono costretti i pescatori. Ma il ministro e il sottosegretario hanno fatto orecchie da mercante, prediligono la circuizione.  Se i parametri di ripartizione del 2018 -così come preannunciato- saranno gli stessi di quelli sanciti nel triennio 2015/2017, questo non renderà giustizia alle aspettative dei tanti palangrieri. Allora, o si provvede ad una più equa ripartizione o in alternativa si sospenda quest’atto e si demandi al prossimo governo, legittimamente eletto dagli italiani, l’onere di affrontare un tema così importante e delicato, per la sostenibilità economica di tanti pescatori onesti. E ricordarsi sempre che l’obbligo primario è garantire il futuro “tanto delle risorse quanto dei pescatori”.